Ecologia della
libertà
Piccolo pensiero sull’opera
di Gabriele Jardini
La natura e la vita a contatto con essa rappresentano un’opportunità di
conoscenza e di esperienza infinita. Tuttavia, Gabriele Jardini pare sottoporre
al suo e al nostro sguardo qualcosa di ancor più profondo; un’ovvietà radicale
che suggerisce la possibilità di scoprire il velo delle cosiddette certezze
umane per indicarci quella semplicità ricca di mistero che è propria
di uno sguardo panoramico sul mondo. A determinare la nascita di quest’arte,
fortemente radicata nel paesaggio, è dunque una costante trasformazione
dell’immagine stessa della natura, da essenza a luogo vissuto che investe
sia la vita spirituale che l’intera dimensione biologica dell’uomo.
Le opere di Jardini manifestano, silenziosamente, un luogo in cui l’uomo è finalmente
di ritorno a casa. In questo luogo ci si riposa da un viaggio secolare, viaggio
in cui la natura è stata spesso dimenticata per poi essere riscoperta
in tutte le sue mutevoli forme. La cura di queste immagini e la delicatezza del
pensiero umano ritornano alla terra. Il mondo naturale, quello dell’arte, è fatto
appunto di solida terra su cui poter reinvestire i nostri desideri di libertà e
poter disegnare la nostra parabola esistenziale.
Si tratta di un mondo in cui l’uomo, l’artista, si trova senza privilegi
e in cui si deve muovere con l’umiltà di chi è stato generato
dalla natura medesima. La tecnologia viene letta, così, come un’esperienza
biologica che investe tutto il mondo organico. La fotografia che congela la scena è materia
sensibile, impressionabile, lastra di luce che preserva e protegge il contatto
tra uomo e ambiente. Nonostante ci si senta lontani da un oggetto e dal suo mezzo
di ripresa non possiamo mai separarcene completamente. Queste sculture fotografate
rivelano la loro esistenza in modo eloquente se si ricerca la via per sottolinearne
la loro fragile e duratura bellezza. Questa via è la semplice e sintetica
complessità con cui queste opere fioriscono di fronte al nostro sguardo,
costantemente dinamiche nella loro serena compostezza.
Si può sostenere che la caratteristica di queste immagini, mutuate da
un’attenta critica al progresso scientifico e tecnologico, sia quella d’essere
nella natura come condizione primaria dell’essere umano. In ciò che è selvaggio
e naturale si preserva il mondo. L’artista, perciò, organizza ciò che
trova per poterlo riscoprire in un linguaggio disciplinato e assoluto. Si commisura
l’azione al contesto reale che trova la sua massima realizzazione in una
vita di comunità. Ci troviamo di fronte a un’interrogazione non
più sulla morale ma sul valore della natura, quindi sul valore della vita
e dell’arte germinata dalla vita stessa.
Giovanni Ferrario
Milano, Febbraio, 2006
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